Radici che s’intrecciano nel terreno della cultura enologica ligure
Radici che s’intrecciano nel terreno della cultura enologica ligure
La vite ha una storia lunga oltre 100 milioni di anni e nel Ponente ligure almeno 650˙000: lo testimoniano ritrovamenti archeologici di semi d’uva nei pressi di quella che oggi è la città di Nizza. Alcuni sostengono che la viticoltura, pur se rudimentale, fosse già conosciuta dall’antico popolo dei Liguri prima del VI secolo a.C. ma non se ne hanno testimonianze certe. Si narra che i primi a coltivare razionalmente la vite in Liguria siano stati i greci che, nella Seconda Età del Ferro, la diffusero a partire dalla loro colonia presso l’attuale Marsiglia.
Da qui, come anche da Antibes, Nizza e Monaco, giunsero nella Liguria di Ponente le nuove merci, assieme ai forestieri che le commerciavano. I greci massalioti (di Massalia, ossia Marsiglia) si insediarono pacificamente, portando con sé le proprie conoscenze viticole quali l’allevamento con ceppo basso e l’utilizzo del tutore morto. A testimonianza di queste nobili origini della viticoltura ligure esistono ancora oggi alcuni termini dialettali come magaiu (magaglio) e carassa (tutore), derivanti dagli antichi lessemi greci máchella e cáras, di identico significato.
Il Pigato, nostro celebre vitigno bianco dall’acino puntinato di marrone, sembrerebbe arrivare dalla Tessaglia (in Grecia) anche se i Liguri lo custodirono gelosamente fino alla metà del secolo scorso come il proprio gioiello.
Il Vermentino, il vitigno a bacca bianca più coltivato nella nostra zona, è invece di probabili origini spagnole, arrivato in Sardegna all’epoca della dominazione aragonese e poi in Liguria tra il XIV e il XVIII secolo. Anche se alcuni autori attribuiscono ai Focesi, gli stessi greci provenienti dall’Asia Minore che fondarono la città di Marsiglia, l’introduzione del Vermentino nella nostra area.
Ad ogni modo queste uve sono ora considerate autoctone, perché si sono ben radicate e hanno resistito floridamente per anni sul nostro territorio, grazie al lavoro manuale e alla conduzione delle vigne artigianale, assumendo il profumo e il sapore peculiare della Liguria.
Curiosa e avvolta da strati di leggende è la storia del Rossese, vitigno a bacca nera tipico del Ponente Ligure. C’è chi sostiene che sia arrivato nelle nostre zone intorno al 500 a.C. per mano degli Etruschi. Altri autori (Beniscelli, 1977; Bernardini, 2002) fanno invece risalire al 1500 d.C. la sua importazione dalla Provenza, portando a riprova una certa somiglianza del vino Rossese con quello della zona di Bandol, dove un biotipo denominato Tibouren è ancora oggi alla base della produzione dei migliori rosati francesi. Sarebbero stati i Doria, signori di Dolceacqua fin dal 1267, che tramite rapporti non sempre pacifici con i vicini francesi lo avrebbero introdotto in Liguria, eleggendolo vino festivo della loro flotta e servendolo in abbondanza durante i banchetti e i ricevimenti degli ospiti.
Tuttavia, per nessuna di queste tesi esistono prove scientifiche a supporto, così come non ce ne sono per quella che vuole l’origine del Rossese burgunda.
Un’altra leggenda narra che nel 1796 Napoleone Bonaparte, ospite della marchesa Teresina Doria a Dolceacqua, ebbe il piacere di assaggiare questo vino e ne rimase così colpito da voler portare con sé qualche botte di Rossese, per gustarlo a casa. Da quel momento questo vino non mancherà mai alla sua mensa e sembra che, durante l’esilio a Sant’Elena, l’ultimo suo desiderio sia stato quello di poterne bere un bicchiere.
Testimonianze certe della presenza delle uve Rossese in Liguria si hanno nei primi decenni dell’Ottocento. Chabrol, nel suo Statistique (1824), elenca i vitigni migliori per Savona e Montenotte: Vermentino, Rossese, Pisano (Rossese di Campochiesa), Barbarossa. Gli stessi vengono menzionati anche dal Gallesio, che cita il Rossese nero del territorio di Ventimiglia negli appunti di un viaggio fatto nel Ponente tra il 1829 e il 1830.
Sembra che inizialmente il vitigno sia stato chiamato Roccese da “roccia”, per la particolarità dei territori ripidi su cui era impiantato e per il duro lavoro richiesto dalla viticoltura eroica ligure. Poi si passò a Rossese, un nome in grado di richiamare meglio il colore vermiglio del vino.
Al di là della sua reale provenienza, certo è che il Rossese di Dolceacqua è stato ed è tutt’oggi un vino amato tanto dai potenti quanto dai semplici… e da chiunque sappia apprezzare le cose buone. Prima DOC Ligure, ha ormai messo solide radici in Val Nervia, Valle Crosia e Val Verbone. I suoi produttori sono riusciti a raccogliere il sapere delle generazioni passate restituendoci un vino frutto della tradizione, ma il cui gusto e profumo si rinnovano e sorprendono anno dopo anno.